Il dialetto torinese è ricco di espressioni bizzarre e incomprensibili per le le altre regioni d’Italia… come ogni dialetto d’altronde. Tra le parole più note del piemontese esiste il tipico saluto di commiato (cioè prima di andare via) Cerea, che spesso viene detto simpaticamente Cerea neh (il “neh” è un po’ sulla bocca di tutti i piemontesi). Esiste anche il termine arvëddse, il chiaro “arrivederci” in italiano, mentre Cerea non ha corrispondenti nella lingua italiana.
Cerea è un saluto un po’ più formale del “ciao”, mette gli interlocutori in una situazione più reverenziale, in segno di rispetto. Questo particolare termine ha origini dal termine greco chaire, modo imperativo derivato dal verbo infinito chairo, con il significato di “rallegrarsi”, anche se non viene molto riconosciuta e avvalorata come teoria, almeno a livello semantico.
La storia racconta di un cadetto di casa Savoia, che volendo vantarsi del fatto di conoscere il greco, prese l’abitudine di salutare la gente dicendo Chairo. I torinesi, per compiacere la casa reale, si erano così messi a imitare il saluto di questo cadetto trasformandolo poi nel più popolare Cerea.
Esiste poi una teoria più accreditata, secondo la quale il saluto piemontese “Cerea” deriva dall’espressione “Saluto alla Signoria Vostra”, con un’accentuazione della parola “Signoria” che nel gergo popolare è diventata “serea”, molto simile al saluto genovese “scià” o a quello veneziano “sioria”. Questa origine giustificherebbe anche il tono rispettoso del saluto poiché rivolto, un tempo, a persone di estrazione sociale medio-alta.
Il dizionario Treccani, a sostegno della seconda teoria, definisce il termine “cerea”: [da serèa «signoria»; cfr. sere «signore»], region. – Forma di saluto, in origine reverenziale, poi divenuta familiare, in uso nel Piemonte.
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