Avete mai notato una lapide in piazza Castello, a pochi metri dall’inizio di via Garibaldi e di fronte a palazzo Madama, una lapide bronzea con su scritto “In memoria del Pastore Valdese Goffredo Varaglia, impiccato e arso sul rogo in questa piazza il 29 marzo 1558“? Si tratta di una targa in ricordo di Goffredo Varaglia, un frate cappuccino e teologo che si convertì all’Evangelismo e ne divenne divulgatore. Arrestato più volte, venne infine condannato a morte perché ritenuto un eretico dall’inquisizione.
Varaglia era nato a Busca nel 1507. Nel 1528 era stato ordinato sacerdote, successivamente aderì alle idee della Riforma protestante e frequentò l’Accademia di Calvino a Ginevra. Da qui, in qualità di pastore, venne mandato in Piemonte per predicare nelle Valli valdesi. Dopo una disputa teologica, tenutasi pubblicamente a Busca con il frate Angelo Malerba, venne arrestato a Barge, nel Cuneese, dall’Inquisizione e condotto a Torino per il processo con cui fu condannato al rogo.
La sua storia è importante più che per essere una testimonianza di fede, quella di libertà. Varaglia infatti, nonostante la condanna al rogo, rifiutò di rinnegare la propria religione affrontando la morte con coraggio e serenità d’animo, arringando la folla prima della sua esecuzione.
Si narra che di fronte a circa 10mila persone, nel momento in cui stava per passare a miglior vita, una colomba si mise a volteggiare intorno al fuoco alzandosi poi in alto, e ciò fu ritenuto come un segno dell’innocenza di Goffredo Varaglia. La sua figura fu d’esempio che anche il boia si sarebbe inginocchiato al martire prima di dare esecuzione alla condanna chiedendogli di perdonarlo per la morte che egli stesso stava per infliggergli.
Il 21 ottobre del 2000 il Comune di Torino decise di porre la lapide che oggi si può vedere in piazza Castello.
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